ULISES ERNESTO SALAZAR BELLO

“Papá! Mettimi giù che io sì che posso camminare” e fu allora che io diedi due passi e poi caddi. Il professor Sereni mi ha guardato dopo il mio tentativo di camminare ed esclamò: “Questo bimbo vuole vivere!”

Vi racconterò la mia storia, che in fondo come la vita stessa, è fatta da momenti belli e momenti che insegnano a maturare ( a volte più in fretta dagli altri bambini o adolescenti).

“Mi chiamo Ulises Ernesto Salazar Bello. Sono nato in Nicaragua il 12 Settembre del 1997.  I medici scoprirono il mio problema renale al terzo mese di gravidanza di mia mamma tramite una ecografia. Quando diedero la notizia a mia madre l’impatto fu abbastanza forte, ma dato che mia madre è una persona che non si lascia abbattere, decise di lottare contro ogni pronostico medico e fu così che iniziò la grande Odissea (moderna di Ulisse).  Nel primo mese di nascita sono stato costretto a fare il mio primo intervento che consistette nel decongestionamento delle vie urinarie. Durante i miei primi 4 anni non riuscivo a camminare ma sono sopravvissuto grazie alla cura che mia madre prestava sulla mia alimentazione e grazie anche all’attenzione medica del pediatra Christian Urbina e al reparto di nefrologia dell’ospedale “La Mascota” di Managua e alla dottoressa Mabel Sandoval.

Mia madre, sin da giovane, lavorava con diverse ONG europee e nel 2000 iniziò a lavorare con con una ONG italiana chiamata Movimondo. Grazie all’allora responsabile di questa ONG e alla dottoressa Mabel Sandoval ci ha permesso di incontrare il Professor Fabio Sereni durante una sua visita al Nicaragua.

Ai tempi, la mia condizione era abbastanza grave, ma nonostante tutto ero molto vivace e positivo. Fu ad inizio del 2001 che incontrammo il mio angelo che mi salvò la vita: il professor Fabio Sereni. Lo incontrammo in un albergo dove lui alloggiava; prima arrivò mia madre con i miei esami per mostrarli al professore, ma prima di lui mia madre incontrò alla dottoressa Marra. Più tardi sono arrivato con mio padre e mia madre in quel momento raccontò al professore che io non camminavo e fu allora che dissi: ” Papá! mettimi giù che io si che posso camminare” e fu allora che io feci due passi e poi caddi. Il professore mi ha guardato dopo il mio tentativo di camminare ed esclamò: “Questo bimbo vuole vivere”. Da quel momento si creò un legame che tutt’ora permane. Dopo questo incontro, decisero che io potevo andare in Italia ma il professore fu chiaro:” la situazione del bambino è molto critica e non so se si potrà fare molto”.

Finalmente, a Marzo del 2001 arrivai in Italia con mia madre e andammo direttamente alla clinica” De Marchi”. Nonostante la situazione, la città e una cultura nuova ci sentimmo a casa sin dal primo momento grazie ai medici, agli infermieri, al personale in generale e grazie soprattutto alla associazione del bambino nefropatico che ci ha dato sostegno. Dato che ero un bambino abbastanza vivace feci subito amicizia e tutti mi chiamavano “il bambino del Nicaragua”. Tutti volevano incontrarmi perchè dato che non camminavo, mi muovevo lo stesso con un triciclo per tutto il reparto del secondo piano dell’ospedale e tutti sapevano ovviamente chi io fossi. All’età di 5 anni iniziai la emodialisi con un catetere posizionato sul collo.  Oltre alla dialisi, nel 2002 mi fecero il secondo intervento per la ricostruzione della vescica, dato che la mia si era atrofizzata. Fu allora che incontrai il mio secondo angelo custode: il dott. Giorgio Selvaggio. L’intervento fu abbastanza lungo e complesso e lui fu il responsabile.

L’anno dopo iniziarono le pratiche per il trapianto: avvenne esattamente il 4 aprile del 2003. La responsabile del trapianto fu la dottoressa Luisa Berardinelli. È stato un trapianto complicato sotto tutti gli aspetti, dato che io ero alto solo 85 cm e il rene che mi venne donato era di una persona adulta, per questa ragione i medici erano perplessi sulle possibilità che io potessi superare il trapianto. Fu un recupero abbastanza difficile, dato che il rene non ha funzionato per 7 lunghi giorni (durante i quali non ho detto neanche una parola, cosa che era molto strana per me). Dopo di che,  finalmente il rene iniziò a lavorare con un’alta percentuale di funzionalità.  La seconda parte più difficile del trapianto è stata la guarigione della ferita e il recupero fisico in generale, dato che sono stato ricoverato per ben 2 mesi. Dopo il recupero iniziai a camminare, a mangiare e a vivere come un bimbo della mia età . Ed è per questo che io racconto che sono rinato a Milano e di aver iniziato a vivere dopo il trapianto. Dopo la mia guarigione tornai in Nicaragua e iniziai a studiare.

l ricordo più bello che ho dell’Italia? Potrei dire che la mia infanzia, sembra un po’ contraddittoria come risposta, lo so. Ma non cambierei proprio nulla del mio passato perché grazie alle esperienze vissute sono chi sono oggi e il ricordo più bello che mi porterò sempre con me. È stata la generosità e l’altruismo della gente italiana ed è grazie a loro se oggi sono qui a scrivere questa storia. Grazie all’associazione del bambino nefropatico, a Fabio Sereni, Luciana Ghio, Alberto Edefonti, Luisa Berardinelli, Giorgio Selvaggio e a tutto il personale sanitario in generale della clinica ” De Marchi ” e dell’ospedale ” Zonda”. Devo ringraziare anche i miei carissimi medici del Nicaragua, Christian Urbina e Mabel Sandoval. Tutti coloro hanno permesso che questa rinascita si avverasse e sono persone che porterò sempre nel mio cuore e non smetterò mai di ringraziare.

Nel 2008 ritornai a Milano per un’infezione che mise a rischio il rene trapiantato e rimanemmo per 3 anni sempre con l’aiuto dell’associazione del bambino nefropatico. Nel 2011 decidemmo di trasferirci in Svezia definitivamente, dato che avevamo dei parenti. Ma nel 2015 il rene smise di funzionare e da allora sono  in dialisi.  La mia vita è completamente normale. Ho avuto la grandissima fortuna di essere stato accolto in due Paesi molto generosi, sia l’Italia che la Svezia”.

Ulises Ernesto Salazar Bello

P.S.  è davvero un onore per me far parte di questo nuovo progetto, dove bambini che hanno la mia stessa condizione di salute , possano avere un futuro migliore.